Wednesday 31 October 2012

Hello!

Just a quick post to say that the 10 or so testers that kindly gave up their time to put Apple Jack through it's IBM compatible paces have done an excellent job, and left me with a long list of things to do before I can finally release it.

The first attempt was a bit of a non-starter, since it failed to install properly on all but one computer.

The second version ran properly for the most part but generated the aforementioned list of shame, which I shall work through over the coming weeks.

No more testing is needed now. Thanks to everyone who helped out or offered help once I already had enough helpers; names will be added to the credits menu before release and I'll send the finished games to you once I know better where they are going to end up.

Saturday 27 October 2012

Syphon Filter: intervista a John Garvin


E’ facile dimenticare che “tactical espionage action” è una innovazione relativamente recente nel mondo dei videogiochi. Gli apripista del genere, Metal Gear Solid e Syphon Filter, emersi alla fine degli anni 90, hanno ricevuto grandi consensi di critica e di pubblico, e hanno fatto scuola.





Un approccio più realistico e aperto verso il combattimento ha toccato presto il genere action, portando avanti gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, del level design e della narrativa – spianando la strada ai successori del genere, da Sly Cooper ad Assassin’s Creed.





Syphon Filter si è avvicinato molto di più all’estremo action-adventure della categoria, anche se anch’esso ha lasciato un segno indelebile nel genere grazie al approccio realistico al combattimento. I nemici si chinavano per ripararsi dietro agli oggetti, un vasto arsenale di gadget dava ai giocatori la possibilità di cambiare le strategie di lotta, e gli headshot freddavano gran parte degli avversari all’istante.






La storia scottante di Syphon Filter è l’emblema di quello che stava accadendo all’epoca nel videogame design: mescolare temi contemporanei (virus programmabili, misteriose reti terroristiche) con un super spia intraprendente – Gabe Logan.





Il PlayStation Blog è andato a trovare il Creative Director di Bend Studio, John Garvin, per sapere di più sulla creazione di questo classico PSone.












  • Qual è stata l’idea alla base del gioco? E’ stato concepito come risposta a Metal Gear Solid o come concept originale?




John Garvin: Metal Gear Solid non ha avuto niente a che fare con la genesi di Syphon Filter. Non ne avevamo mai neanche sentito parlare ai tempi delle fasi iniziali dello sviluppo del nostro gioco. L’idea venne ad un produttore di 989 Studios (all’epoca sotto Sony) che scrisse una sinossi di una pagina che chiamò “Syphon Filter”. Questa sinossi non aveva significato compiuto, nel senso che non c’era alcuna trama, nessun personaggio, nessun intreccio, c’erano solo sprazzi di idee sugli ambienti, sulle meccaniche di gioco e sul gameplay. Sin dall’inizio il titolo è stato pensato come uno “stealth action” (sin dai tempi in cui questo genere non esisteva) che si focalizzava molto sulle armi, gadget e, appunto, azione stealth. Volevamo che il giocatore si sentisse una super spia. Il nostro Lead Designer era stato molto influenzato da GoldenEye di Nintendo, forse all’epoca il titolo più vicino alle dinamiche di un gioco come Syphon Filter.








  • Vi rendevate conto che stavate lavorando su qualcosa di speciale? Quali sono stati gli stati d’animo che vi hanno accompagnato nel processo creativo – incertezza, fiducia, terrore?




John Garvin: Principalmente terrore. E’ stato un progetto difficile in termini di sviluppo, per molte ragioni. Non c’erano giochi, o forse pochissimi, a cui potevamo attingere per cercare ispirazione. Gran parte del team non aveva esperienza nello sviluppo di un gioco come il nostro. I ragazzi di Eidetic avevano appena concluso Bubsy 3D, quindi avevano già lavorato nel campo degli action game in terza persona, ma Bubsy era un platform cartoonesco quindi non era esattamente un titolo da cui attingere in termini di bagaglio d’esperienza.





Sono entrato a far parte del progetto Syphon Filter dopo la produzione del primo prototipo (un semplice segmento di gioco con protagonista una sparatoria in metropolitana); anche io avevo lavorato a tutt’altro genere di titoli fino a quel momento, ad esempio MissionForce: Cyberstorm (uno strategico) e Bouncers per Sega CD, gioco per cui ho ricoperto il ruolo di Art Director. Nessuno di noi sapeva aveva l’esperienza necessaria per produrre uno shooter realistico a tema spionistico.





Il primo Syphon Filter ha attraversato alcuni momenti difficili ed è stato anche vicino alla cancellazione più volte perché non riuscivamo a rispettare le date di scadenza, facevamo aggiustamenti continui alle meccaniche di gioco, cambiavamo l’ordine dei livelli, modificavamo la storia, in poche parole stavamo cercando di capire in corsa cosa diavolo stessimo facendo. Connie Booth, il produttore di 989 affidato al nostro progetto, e il suo boss Kelly Flock, avevano grande fiducia in questo gioco appartenente al nuovo genere “spionaggio”. Abbiamo lavorato a ritmi forsennati per circa un anno, perché stavamo cercando di produrre un gioco all’altezza delle aspettative di tutti.





Ci siamo accorti di aver lavorato a qualcosa di speciale solo quando abbiamo consegnato il gioco e le vendite sono esplose, andando oltre ogni più ottimistica speranza. Credo che il titolo abbia venduto più di un milione di copie nel primo anno. E’ stato incredibile. I giocatori avevano dimostrato di apprezzare il nuovo mix di meccaniche che avevamo proposto – sgattaiolare furtivamente, combattere i terroristi schivando vagoni della metropolitana, sparare il taser per la città, far bruciare un terrorista tra le fiamme. I giocatori non avevano mai provato niente del genere in passato. Questo genere di cose è abbastanza comune ora, ma prima molto innovativo.








  • Avete preso ispirazione da qualcosa in particolare per il look del gioco e per la sua atmosfera?




John Garvin: E’ stata quasi tutta farina del mio sacco. Molti giochi di questo periodo hanno un look buio, essenziale, monocromatico, mentre i giochi cui giocavo verso la fine degli anni 90 erano tutti molto colorati e non così realistici. Guardate le immagini di Unreal, Turok 2, o Rainbow Six, giochi sicuramente realistici ma con una palette di colori che sembra quasi senza capo né coda. Ricordo di essere stato ispirato da Salvate il Soldato Ryan – che è uscito nella seconda metà del 1998, credo – e Half Life.





Era un titolo molto ambizioso per l’epoca. Quali sono state le sfide più grandi che avete incontrato durante il processo creativo che vi ha portato a sviluppare le vostre idee originali?


Non si è trattato di sviluppare le nostre idee originali, perché le abbiamo create man mano che ci venivano in mente. Sapevamo di volere un action game in terza persona e che volevamo avverare le fantasie di tutti coloro che volevamo vestire i panni della super spia. E per raggiungere il nostro scopo siamo stati anche disposti ad inserire elementi di qualità leggermente “infima”.





Per esempio le nostre sequenze in computer grafica renderizzata erano abbastanza “low budget”. Non avevamo neanche creato delle mani con delle dita visibili. Tutti i nostri personaggi avevano delle mani “a scatola”, ma questo non ci ha impedito di fare filmati in computer grafica perché c’era una storia che volevamo raccontare. Il nostro motto era “meglio un film brutto che non fare il film per niente”. Lo stesso è accaduto per le sequenze di gameplay.





C’era un livello in cui Gabe, la super spia protagonista del gioco, doveva indossare uno smoking ed infiltrarsi all’interno di una serata di gala per spiare un obiettivo. Oggi l’intera sequenza verrebbe realizzata in maniera molto costosa, sfruttando set, extra, costumi, molto motion capture e animazioni; all’epoca abbiamo colorato in maniera diversa i personaggi non giocabili, tutti dotati dello stesso modello, e realizzato animazioni low budget in cui erano intorno ad un tavolo a bere dei cocktail.





Iniziato il livello, il giocatore poteva ascoltare il loop audio di un party, ma non poteva entrare nella stanza in cui c’era davvero il party. Questo genere di espedienti non funzionerebbero al giorno d’oggi, ma in passato ci siamo trovati a sfruttare ogni genere di scorciatoia per aumentare l’intensità dell’esperienza senza preoccuparci troppo delle raffinatezze. Solo il gioco era importante.








  • Quanto si avvicina il gioco finito alle vostre idee di partenza?




John Garvin: Di nuovo, Syphon Filter non è stato sviluppato in maniera convenzionale. Solo l’idea di mettere il giocatore nei panni di una super spia è rimasta sempre la stessa, sin dalle prime battute, ma tutto il resto è stato pensato e realizzato man mano che procedevamo con lo sviluppo. E’ un modo folle di creare un gioco, ma non abbiamo potuto fare altro perché il nostro team era composto da soli 13 membri, circa.





Ecco alcuni esempi: quando sono entrato nel team, la storia di Syphon Filter trattava di alcuni scienziati rapiti e portati in un complesso sotterraneo per sviluppare una macchina del tempo per conto di uno scienziato cattivo o del governo. Sono stato ingaggiato come Art Director, ma ho iniziato a dare i miei consigli per migliorare la storia e renderla più al passo con i tempi, più rilevante.





Ai dirigenti dello studio è piaciuta la mia idea così, a metà dello sviluppo del gioco, ho riscritto tutto da capo, partendo dall’idea che Syphon Filter fosse una parola in codice per un letale virus “programmabile”. Non era niente di innovativo, la fantascienza e il cinema hanno esplorato questo tema per anni, ma per il mondo dei videogiochi era ancora fresco.





Abbiamo cambiato l’ordine dei livelli anche a poche settimane dalla consegna definitiva del gioco, per cercare di rendere il tutto il più omogeneo possibile. Abbiamo cambiato location e concept in corsa: la battaglia contro il boss Gyrdeux doveva avvenire in un parcheggio, ma ricordo che pensai che fosse difficile per l’epoca costruire tutte quelle macchine e rinchiudere il giocatore in uno schema chiuso come un parcheggio… senza contare che molto probabilmente il nostro motore grafico non avrebbe retto lo sforzo.





Quindi sono tornato a casa nel weekend e ho costruito la stanza col monumento commemorativo, dotata di quella scultura a muro che decorava tutta la parete. Si è rivelata una soluzione dall’ottimo impatto visivo e facilmente realizzabile.





Fino al sequel non abbiamo avuto una visione d’insieme del gioco. L’intera squadra ha avuto una settimana di pausa e il sottoscritto insieme al co-creatore del gioco, Richard Ham, abbiamo scritto lo script di Syphon Filter 2. Credo di aver impiegato un weekend a scrivere l’intera sceneggiatura. Rich mi ha aiutato a revisionare la seconda metà del gioco, e ha introdotto tutta la faccenda di Mosca, rendendo la fine della storia più eccitante e confacente ai canoni classici dello spionaggio. Al ritorno dalle vacanze del team, abbiamo impiegato un anno per realizzare esattamente quello che avevamo scritto. Quella è stata la prima volta che abbiamo avuto una visione globale di quello che dovevamo fare e l’abbiamo seguita dall’inizio alla fine.








  • Di quali elementi di gioco siete maggiormente orgogliosi?




John Garvin: Personalmente, sono molto orgoglioso degli elementi cardine della storia. In quei giorni non c’erano molti videogiochi che trattavano argomenti al passo con i tempi – armi biochimiche, terrorismo, agenzie segrete che agiscono al di fuori della legge.





Ricordate che stiamo parlando di prima dell’11 settembre. Stavamo facendo qualcosa che non si vedeva all’epoca nei videogiochi: Teresa Lipan, la mente dell’agenzia, era una donna di stirpe indo americana… Lawrence Mujari, il biologo, era un maschio afroamericano, Lian Xing, una donna cinese, e così via… ci siamo sforzati il più possibile per rendere i personaggi diversi e fuori dagli stereotipi. Abbiamo cercato anche di iniettare il più alto livello di realismo mai visto prima in un gioco.





Spesso durante lo sviluppo di un gioco (anche oggi) qualcuno esclama “Che importa? E’ solo un gioco!”. Quel modo di pensare mi ha sempre disturbato. Volevo che i personaggi avessero motivazioni autentiche, obiettivi di livello che avessero senso, da incastrare nell’arco degli eventi della storia, location dal feeling reale e con dettagli accurati.





Abbiamo inserito cose folli nella storia, oggi non so se la scamperemmo. Per esempio (spoiler!), ad un certo punto nel gioco, Gabe salva dei soggetti e inietta loro un vaccino. Solo più tardi scoprirà che non li sta salvando ma li sta uccidendo perché il vaccino era in realtà un veleno; dopodiché gli scienziati circondano e costringono alla resa Gabe e lui per difendersi è costretto a sparargli. E stiamo parlando di gente disarmata – beh, erano pur sempre scienziati cattivi.





Abbiamo fatto saltare una metropolitana di Washington DC per mano di alcuni terroristi – potremmo farlo oggi? Sono tutti temi scottanti per gli standard di oggi, ma nel 1999 parlarne in un videogioco ti coglieva di sorpresa. Oh, poi c’era il taser. Abbiamo amato il taser.









  • Come vuoi che venga ricordato Syphon Filter? Cosa ha portato al mondo dei videogiochi?




John Garvin: Per quello che è stato: il primo esponente del suo genere, un mix di stealth, azione, realismo, temi contemporanei, armi realistiche e gadget, con elementi della storia davvero taglienti. Chiunque lavori nel mondo dei videogiochi sa che essere originali è molto difficile, avere idee innovative, nuove meccaniche e nuovi modi di giocare. Syphon ha fatto tutto questo e ha dato origine ad un genere; molti giochi usciti dopo il nostro sono stati semplici variazioni sul tema. Per molti versi, siamo stati i primi.








  • Quale personaggio di Syphon Filter ti è rimasto nel cuore?




John Garvin: Del primo Syphon Filter, sicuramente la star in persona, Gabe Logan. Il modo in cui le sue battute sono state doppiate da John Chacon è unico, per usare un eufemismo. Gabe ha impersonato il modello dello stoico eroe d’azione… ma con un cuore. Mi piace anche Mara Aramoy… come si fa a non apprezzare quella risata? Dei giochi successivi, sceglierei Teresa Lipan o forse Stone ma no, nessuno è come Gabe Logan.

Friday 26 October 2012

Freemium Games on iOS, by Category

This is a brief follow-up to my previous post, in which I showed that freemium games in the Android ecosystem, despite doing well overall, haven't (yet) dominated all game categories. Racing, sports and puzzle games all feature a healthy number of paid games in their top-grossing lists, while the action, casino and "casual" categories are thoroughly dominated by freemium games.

I performed the same calculations for the iOS App Store. Categories are much more fluid in the App Store, there are more of them and games can (and do) show up in multiple categories. On top of that, users have to hunt around a little more to see games broken down by category, making the distinction between categories much less important.

Nonetheless, a comparison between iOS and Android might still be worthwhile. I wanted the to have the closest thing to an apples-to-apples comparison between iOS and Android that I could. To do so, I had to combine some iOS game categories to make them better correspond to Android game categories. The Action and Arcade categories were averaged together, as were the Card and Casino categories to come up with the following charts.  Note that there is no "Casual" category for iOS games, so it is omitted.



These figures are similar to what we saw on Android. The only major difference is in the Action and Arcade categories, where paid apps do much better on iOS. I'm at a loss to explain why, but feel free to leave a comment if you have an idea.

Wednesday 17 October 2012

Freemium (Mostly) Dominates on Android

Freemium. It has been the "it" business model for games ever since Apple and Google introduced in-app purchases (IAP) to the App Store and Google Play, respectively, last year. Investors love it, purists hate it and the media seems convinced that game developers that don't buy into it are losing out in a big way.

At first glance, it does indeed look grim for the traditionalists. Only three out of the top 30 grossing iPad games are not free-to-play (as are 26 out of the top 100). On Android it is even worse. There, only one (Minecraft) out of the top 30 grossing games require up-front payment, as do just eight out of the top 100. (All figures are as of time of posting. Also, since my devices are older some games aren't shown to me, but what's left should be a reasonably representative sample).

So are the days of paid games numbered? Are mobile gamers doomed to an endless sea of ads, gold coins and slowly-replenishing energy bars? It actually depends on the category of game, and by a wide margin at that. I took a look at the top-grossing games on Google Play by category, and sorted them by free-to-play vs paid. Here are the results:

Almost all of the money made in the arcade/action, card/casino and casual categories gets made by free-to-play games. Just three paid arcade/action games crack the top 30. The casual and card/casino categories see only one paid game each in their top 30 lists.

It is another story, however, in the three remaining categories. Brain/puzzle, racing and sports games all have more-or-less parity between freemium and paid in their top 30 grossing lists. This same dynamic holds for the top 100 grossing games, though within this less exclusive scope paid games do better overall:

Sports and especially racing games appeal more to traditional gamers. This is a segment of players who, as a whole, are probably not strangers to paying $50 or more for a console or computer game. Contrast them to most casual gamers who have never paid a cent to play Bejeweled or Farmville, and the above starts to make a lot of sense. I suspect that Brain and Puzzle games appeal to an older audience which has less patients for the ads and simplistic gameplay usually associated with freemium titles.

While freemium has been a hot topic, the news is not all bad for fans and developers of traditional pay-to-play games. Those developers creating puzzle, racing or sports games for Android shouldn't assume at all that freemium is the only viable revenue model of the future. On the other hand, developers creating casual, casino or arcade games will want to seriously consider freemium if they haven't committed to it already.

Friday 12 October 2012

Legacy of Kain: Soul Reaver: intervista a Amy Hennig




Ah, Soul Reaver. Me lo ricordo bene! Questa piccola gemma spaventosa fece molto parlare di sé quando approdò su PSone nel 1999. Indossando i panni del ferito ed emarginato vampiro Raziel, il nostro obiettivo era quello di vendicarci del corrotto signore dei vampiri Kain e ripristinare l’ordine nel decadente mondo di Nosgoth.





Ricordo con piacere che il gioco aveva un approccio ai combattimenti molto ispirato; i vampiri avversari non potevano essere uccisi in maniera convenzionale così, dopo averli affrontati corpo a corpo e indeboliti, bisognava gettare i loro corpi su pali appuntiti o esporli alla luce del sole per finirli del tutto. Il design dei livelli era da urlo, favorito anche dall’importante abilità di Raziel di entrare in un mondo spettrale per superare ostacoli o risolvere puzzle.







Ma soprattutto, Soul Reaver viene ricordato per la sua storia e per i suoi personaggi. E dobbiamo ringraziare il game director Amy Hennig per questo! Come forse saprete, Hennig successivamente entrò nella squadra di Naughty Dog, celebre sviluppatore PlayStation, in veste di creative director e autore di Jak & Daxter e dei tre titoli della serie Uncharted.





Hennig ha deciso di sfogliare il libro dei ricordi legato allo sviluppo di Soul Reaver, rivelando al PlayStation Blog alcuni aneddoti inediti sulle origini del gioco.











  • PlayStation Blog: Qual è stato il concept originale alla base del gioco?



Amy Hennig: Non credo lo sappiamo in molti, ma inizialmente Soul Reaver non fu concepito come il seguito di Blood Omen: Legacy of Kain – il nostro intento era quello di creare una nuova IP chiamata “Shifter” ispirata a Paradiso Perduto. Il protagonista doveva essere essenzialmente un angelo della morte decaduto, un mietitore di anime cacciato dai suoi vecchi compagni, intenzionato a smascherare e a distruggere il falso dio che tutti loro avevano sempre servito.





Il concept dietro a Shifter è alla base di quello che successivamente diventò Soul Reaver; il nocciolo è tutto qui. L’eroe era una creatura non morta capace di spostarsi tra il regno spettrale e il regno materiale, e in grado di planare utilizzando quel che resta delle sue ali ridotte a brandelli.





Quando ci è stato chiesto di trasformare questo concept nel seguito di Blood Omen, la nostra sfida fu quella di prendere tutte queste idee e di inserirle in maniera convincente nella mitologia di Legacy of Kain.








  • Vi rendevate conto che stavate lavorando su qualcosa di speciale? Quali sono stati gli stati d’animo che vi hanno accompagnato nel processo creativo – incertezza, fiducia, terrore?



Amy Hennig: Non sei mai veramente sicuro mentre sei nel bel mezzo della realizzazione di un progetto. Eravamo un team molto piccolo all’inizio, siamo stati in grado di lavorare a fari spenti per un po’, e questo ci ha dato la possibilità di sperimentare idee inusuali che altrimenti si sarebbero scontrate contro un prematuro scetticismo e ipercriticità.





Quando abbiamo condiviso il concept iniziale con gli altri colleghi della compagnia ci fu un grande entusiasmo per l’idea, ma anche della giustificabile preoccupazione derivata dal fatto che stavamo intraprendendo una strada potenzialmente ricca di rischi tecnici. Abbiamo dovuto ridurre all’osso qualche aspetto secondario – inizialmente avevamo previsto di includere delle abilità mutaforma da affiancare al passaggio di piano reale/spettrale, ad esempio – e ci siamo dovuti concentrare su elementi più importanti per la base del nostro concept. Quando il gioco è stato rivelato alla stampa, abbiamo iniziato a percepire che stavamo lavorando su qualcosa di speciale.





Tuttavia ci siamo posti traguardi molto impegnativi a livello tecnico – quindi, sì, ci sono stati anche attimi di incertezza e di terrore durante la nostra avventura!





Eravamo molto entusiasti del concept di Shifter quindi quando ci è stato chiesto di adattare l’idea e di renderla un seguito di Blood Omen siamo rimasti sgomenti. I contrasti creativi possono essere ispiratori e corroboranti, e una volta accettata la sfida, il concept si è evoluto in forme molto eccitanti.










  • Avete preso ispirazione da qualcosa in particolare per i temi, i personaggi o i dialoghi del gioco?



Amy Hennig: Abbiamo preso ispirazione da così tante cose che è difficile nominarne solo alcune… Come ho detto prima, l’idea originale è stata deliberatamente ispirata all’angelo ribelle del Paradiso Perduto di Milton. La struttura spirituale del mondo è basata sullo Gnosticismo, sulla credenza che il cosmo sia governato da un malevolo dio “pretendente”, che gli umani siano prigionieri di una bugia spirituale, e che la sfida del genere umano sia una lotta per la libertà di azione e di pensiero contro un fato che sembra apparentemente insormontabile.





Al futuro distopico di Nosgoth volevamo dare una forma decadente, tipo stile industriale del diciannovesimo secolo, mentre il reame spettrale era ispirato all’architettura ritorta e disorientante del cinema Espressionista tedesco del 1920.





Per quanto riguarda i dialoghi, ci siamo ovviamente mossi sugli stessi binari di Blood Omen: Legacy of Kain, col suo linguaggio florido e ricco di monologhi. Volevamo portare uno stile simile anche nel sequel. Ho preso anche ispirazione dai dialoghi densi e colti dei drammi storici come Un Uomo per Tutte le Stagioni, le opere di Becket, e Il Leone d’Inverno.








  • Era un titolo molto ambizioso per l’epoca. Quali sono state le sfide più grandi che avete incontrato durante lo sviluppo del gioco?



Amy Hennig: La sfida più grande, senza neanche pensarci, è stato far funzionare il data-streaming affinché il nostro mondo apparisse completamente interconnesso, senza cesure, e senza alcun tempo di caricamento. Credo che siamo stati tra i primi sviluppatori a fare i conti con questo problema (insieme a Naughty Dog, con Crash Bandicoot).





La cosa si è rivelata molto più difficile di quanto ci aspettassimo – se ricordo bene, stavamo ancora combattendo contro delle texture ballerine a due mesi dalla data di uscita. Siamo riusciti a sistemarle per il rotto della cuffia, ma mi domando: avremmo accettato una sfida del genere se avessimo conosciuto la sua reale difficoltà?





La seconda sfida, ovviamente, era quella di capire come incamerare due gruppi di dati, uno per il mondo materiale e l’altro per quello spettrale, e come implementare il morphing in tempo reale tra i due ambienti. Il nostro piano originale era troppo ambizioso, e prevedeva il texture-morphing unito al geometry-morphing, ma abbiamo capito subito che la memoria per le texture era troppo limitata (all’epoca) per fare quello che avevamo in mente.





Abbiamo avuto l’idea di utilizzare a nostro vantaggio la timeline d’animazione di 3DS Max per fondere i valori spettrali con i vertici geometrici – ad esempio, il frame 0 era il mondo materiale, e il frame 1 era il regno spettrale (o vice versa, non ricordo con certezza). In questo modo, alterando le coordinate x,y,z di ogni vertice, anche i valori dell’illuminazione RGB si alteravano, creando una versione più sinistra e bizzarra del regno fisico.





La sfida definitiva è stata quella contro i tempi di consegna. Essendo stato concepito come un mondo aperto, un gioco adventure 3D alla Zelda, Soul Reaver era incredibilmente ambizioso. Il motore Gex della Crystal Dynamics ci ha dato una mano con la tecnologia 3D, ma fondamentalmente abbiamo dovuto scrivere un motore di gioco da zero, mentre stavamo sviluppando una nuova IP. Al giorno d’oggi, uno sviluppatore non farebbe questa cosa in meno di tre anni (almeno), ma la Eidos voleva il gioco in meno di due.





Alla fine, siamo riusciti a consegnare Soul Reaver in meno di due anni e mezzo, abbiamo dovuto fare dei tagli dell’ultimo minuto che ancora sono dispiaciuto se ci penso. Il gioco era davvero troppo ambizioso, ma se avessimo potuto consegnare il titolo l’inverno successivo rispetto all’estate della consegna, avremmo potuto effettuare dei tagli più eleganti.








  • Quanto si avvicina il gioco finito alle vostre idee di partenza?



Amy Hennig: Si avvicina molto, considerando tutti i cambi che abbiamo fatto durante lo sviluppo. Abbiamo dovuto tagliare alcuni contenuti, ma il concetto alla base del gioco è rimasto immutato – molto simile alle idee che avevamo con Shifter.





Per rispettare la data di consegna prevista per l’agosto del 1999, abbiamo dovuto tagliare gli ultimi livelli di gioco, e abbiamo dovuto terminare con un finale ricco di suspense per gettare le basi di Soul Reaver 2. Nei nostri piani, Raziel doveva stanare e distruggere tutti i suoi fratelli così come Kain – dopodiché utilizzando le sue nuove abilità, avrebbe dovuto attivare l’organo sopito della Cattedrale del Silenzio per spazzare via tutti i vampiri di Nosgoth con un’ondata sonica. Solo allora avrebbe realizzato di essere stato per tutto il tempo la pedina del Dio Antico, che la caccia ai vampiri ha avuto conseguenze devastanti e che l’unico modo per sistemare le cose è quello di utilizzare la clessidra di Moebius per tornare indietro nel tempo e alterare la storia (nel sequel).





Quindi la storia sarebbe stata simile, ma avrebbe seguito un percorso differente. Alla fine, per quanto io abbia odiato la sua schiettezza, il “Contiua…” alla fine di Soul Reaver probabilmente si è rivelato una fortuna nella sfortuna, perché credo che abbia aperto degli sbocchi di storia più interessanti per i sequels.








  • Di quali elementi di gioco siete maggiormente orgogliosi?



Amy Hennig: Sono molto orgoglioso di come un team relativamente piccolo sia riuscito ad affrontare tutte queste sfide tecniche pioneristiche. Da designer, sono ancora orgoglioso dell’originalità di Soul Reaver e del modo in cui siamo riusciti a fondere le meccaniche di gioco con la storia – per esempio, divorare anime per il sostentamento, e il modo in cui il piano spettrale è stato integrato con la barra della salute; il modo in cui sono stati progettati i combattimenti contro vampiri immortali; la possibilità di planare grazie a delle ali strappate; l’equilibrio tra le abilità di Raziel del mondo reale e quelle del mondo spirituale, specialmente la possibilità di utilizzare il terreno trasformato a proprio vantaggio. Per molti aspetti credo che sia il miglior gioco a livello di game design a cui abbia mai lavorato.








  • Come vuoi che venga ricordato Soul Reaver? Cosa ha portato al mondo dei videogiochi?



Amy Hennig: Affettuosamente, spero! Anche dopo 13 anni, sono ancora gratificato dal vedere fan e colleghi che vengono verso di me e mi parlano di quanto il gioco sia stato importante per loro, o come li ha influenzati quando erano giovani game designers. La serie ha ancora uno zoccolo duro di fan entusiasti, ed è ricordata con affetto, cosa che non potevamo prevedere tutti quegli anni addietro.





Spero che venga ricordato come un gioco ben costruito, con una direzione artistica molto originale, una storia avvincente, e come un titolo rivoluzionario per quello che ha rappresentato per PlayStation all’epoca. Anche il nostro approccio al doppiaggio è stato innovativo per i tempi, perché abbiamo fatto registrare i dialoghi a tutti gli attori contemporaneamente, invece che registrarli separatamente. E’ il processo che utilizziamo ancora oggi su Uncharted – sfrutta le basi delle tecniche che abbiamo utilizzato con Soul Reaver quindici anni fa.








  • Quale personaggio di Soul Reaver ti è rimasto nel cuore?



Amy Hennig: E’ impossibile scegliere tra Raziel e Kain – sono due facce della stessa moneta, come si suol dire. Come personaggio, forse preferisco Kain. Anche se in apparenza può sembrare esclusivamente un cattivo, è un eroe classico, che combatte per la libertà in un mondo frenato dal Fato. Raziel è più una figura tragica, una pedina, cosa che permette di sviluppare una certa compassione per lui – ma è anche un personaggio pieno di difetti, ossessionato da un senso di vendetta ipocrita. Mi è piaciuto lavorare su entrambi.

Wednesday 10 October 2012

Testers needed!

Hello!

The PC versions of both Apple Jack games are now basically done, and they both run well on MY computer.

But PCs are a varied bunch, and I'd like to see how they work (in fact, if they work at all) on as many different computers as possible. Would you like to help test the two games? Simply seeing if they install and run would be a great help, regardless of whether you actually play them or not.

Also the keyboard and mouse controls need a good test, and I'd like to see how smooth the games are on lower spec systems.

Testers will get the full versions of both games when they are released, and also I'll put their name in the  credits section (buried right on the last page, but still).

If you're interested, please email me at the my_owl email address on the top right, and I'll get back to you.